Il paesaggio collinare che circonda Aliano è così suggestivo che si stenta a distaccarsene senza provare una forte nostalgia. E’ il “Genius loci” che pervade il visitatore e lo attira come d’incanto verso le aride distese del deserto alla ricerca di qualcosa che si muova, di un rumore o di un'eco remota. Solo gli occhi attenti del nibbio che plana in perlustrazione sulle gole e sui nascondigli di argilla, rompono l’immobilità dei calanchi e invitano lo sguardo a spaziare sugli orizzonti lontani e sulle case bianche aggrappate alle creste dei burroni.
Levi “…La casa dove finalmente pochi giorni dopo…andai ad abitare era, si può dire, l’unica casa civile del paese…Era composta di tre stanze, una in fila all’altra. Dalla strada, un vicoletto laterale sulla destra della via principale, si entrava in cucina, dalla cucina nella seconda camera, con cinque finestrelle, che fu la mia stanza di soggiorno e il mio studio di pittura”.
E’ dagli scritti di Levi che prenderà vita poco a poco una casa vuota, disabitata, così come appare oggi, inospitale, quasi ostile, così come egli la lasciò dopo la sua partenza. Gli interventi di restauro della casa intendono renderla di nuovo visitabile ed accogliente attraverso un’intromissione discreta e delicata che non trasformi e non offenda quanto dal Levi osservato, studiato e commentato.
Una casa per certi versi banale, ma che possiede quella magia che solo i luoghi entrati in un grande romanzo hanno la fortuna di trasmettere.
Molta ed intensa fu l’attività letteraria ed artistica di Carlo Levi, ma il suo capolavoro letterario considerato ormai un classico della nostra letteratura, fu il “CRISTO SI E’ FERMATO A EBOLI”, ambientato nell’immaginario paese di Gagliano (ALIANO) nel quale per circa un anno il Levi ha potuto penetrare negli arcani misteri, nelle storie, nelle leggende, nelle magie e nelle miserie dei contadini del mezzogiorno. La vicenda è autobiografica: Levi, confinato durante il fascismo in un piccolo paese della Lucania, viene a contatto con la miseria profonda di quella parte oscura e dolente dell’Italia rimasta sepolta per millenni sotto il peso dell’ingiustizia e dell’indifferenza politica.
E’ l’Italia dei contadini del Mezzogiorno, di una popolazione che vive ai margini della storia e per la quale lo stesso messaggio di Cristo sembra ancora di là da venire. Nasce così, dal rapporto continuo e vibrante tra il mondo interiore dell’Artista e il mondo paziente e antichissimo di quella gente primitiva, un racconto alla scoperta di una diversa civiltà, un rapporto d’amore, di poesia, di totale identificazione. La possibilità di leggere il libro in tutti gli ampi sensi, poetico, linguistico, strutturale, politico, sociale, psicologico, analitico, storico, saggistico, e pittorico, riporta alla definizione stessa dell’opera d’arte.
Dalla capra, al cimitero, dai peperoni agli esorcismi, dal gabbinetto di porcellana ai briganti agli spazi infiniti dei monti di lucania, Levi riesce a volare sull’intera regione, sulle sue valli aride, sui suoi fiumi lenti, sulle leggende dei briganti e sui fantasmi delle grotte, pur rimanendo ancorato alla terrazza della sua casa dalla quale poteva osservare il timbone della madonna degli angeli “come un osso di morto, la testa di un femore gigantesco”. La corrispondenza tra luoghi raccontati e luoghi realmente esistenti è strettissima e attualissima al punto che, immergendosi negli ambienti lucani descritti da Levi, si stenta a credere che sia trascorso più di mezzo secolo senza che questi abbiano apparentemente subito trasformazioni o alterazioni. Le attuali terre, gli orizzonti, gli uomini e le capre hanno gli stessi colori, le stesse sfumature, gli stessi volti, gli stessi odori, le stesse espressioni di mistero che si rilevano nelle pagine del testo letterario. Apriamo oggi una finestra, una qualunque finestrina di legno sconquassato dall’interno di una delle molteplici dimore di pietra con ringhiere di ferro intrecciato di cui il paese è disseminato; osserviamo i panorami, i colori, i calanchi, le valli; sembreranno ancora quadri dipinti ispirati alle pagine del testo; nessuna presenza umana, nessun segno di vita, solo lande aride e desolate a perdita d’occhio estese fino agli orizzonti confusi con il cielo.
Levi “…Questa strana e scoscesa configurazione del terreno fa di Gagliano una specie di fortezza naturale, da cui non si esce che per vie obbligate…” Aliano è ancora oggi isolato tra le creste dei suoi burroni e sebbene i “sentieri” descritti da Levi siano stati attualmente asfaltati, l’impressione di inoppugnabilità che si prova osservando il paese dalla valle conferisce al luogo un’aria misteriosa e austera che stimola la curiosità ed invita alla sua graduale scoperta.
Percorrendo oggi i vicoli di pietra del centro storico si scoprono quelle ancestrali tradizioni che miravano a respingere il malocchio attraverso le architetture delle facciate.
Piccole finestre come occhi maligni sottolineati da sopracciglia aggrottate dall’ondulazione del castagno tarlato delle piattabande, sormontano archi immensi che trasmettono alle case l’espressione di un ghigno demoniaco. Scalinate di accesso che digrignano i denti fatti di scalini spezzati conferiscono alle abitazioni un’espressione grottesca e orrida che riporta al mondo misterioso dei mostri e delle mitiche creature della fantasia.
E’ sufficiente aggirarsi per il piccolo e nudo centro storico del paese ed aprire a caso i catenacci che sprangano i portoni sbrindellati delle vecchie case contadine per trovarsi come d’incanto dentro alle pagine di Levi.
Nulla è mutato, tutto è congelato e cristallizzato dalla polvere antica. I letti di ferro addossati alle pareti affumicate sembrano essere stati abbandonati ieri, in fretta perché il burrone stava minacciandoli.
Levi “…Ed ogni intorno altra argilla bianca senz’alberi e senz’erba, scavata dalle acque in buche, in coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare… e da ogni parte non c’erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come librate nell’aria… era un susseguirsi digradante di monticelli, di buche, di coni di erosione rigati dall’acqua, di grotte naturali, di piagge, fossi, collinette di argilla, come se la terra intera fosse morta…”.
E’ assolutamente unico e prezioso il fatto che un uomo di cultura, un artista sensibile, attraverso la sua segregazione coatta (confino) si sia trovato immerso in una realtà sociale sconosciuta ai più, che lo ha suggestionato ed impressionato al punto da creare con la sua opera un capolavoro di cronaca ed un trattato di etnologia. La descrizione minuziosa dei volti, delle valli, degli animali, delle case e delle pietre consente oggi la loro rivisitazione altrettanto minuziosa che permetterà di scoprire tutta la loro sorprendente integrità. Paesaggi molto vari si alternano in questa parte di regione. Si va dall’ultimo lembo della Murgia materana, a vocazione cerealicola, ai monti che separano le valli dei fiumi Bradano e Basento. Dalle colline ammantate dai campi di grano alle coltivazioni frutticole che digradano lentamente verso lo Jonio. Dai monti ricoperti di boschi, all’aspro, lunare paesaggio dei calanchi, così efficacemente descritti da Carlo Levi.
Levi ritrovò metaforicamente, nei lucani, la condizione umana che era all’inizio dei tempi e ciò cui occorreva guardare per creare una via alternativa. Egli scrisse del suo soggiorno che: “…fu dapprima esperienza, e pittura e poesia…e poi teoria e gioia di verità per diventare infine apertamente racconto…”. Levi aveva colto gli aspetti socialmente più drammatici di questo piccolo paese di 1350 abitanti, a 100 chilometri da Matera e a 500 metri di altitudine, in cui visse per sette mesi e diciassette giorni, dal 3 ottobre 1935 al 20 maggio 1936, da confinato politico. Egli, come successivamente ha dichiarato nella prefazione della cartella di litografie “Cristo si è fermato a Eboli” pubblicata nel 1974, “Aliano è il simbolo di tante altre Aliano sparse nel mondo…”.
Nel suo viaggio elettorale del 1919 Luigi Cucari osservava come durante i comizi, i borghesi siano sempre rigorosamente separati dal popolo contadino. Si tratta di una spaccatura sociale che nell’analisi di Carlo Levi costituisce il terzo punto qualificante la questione meridionale, il “lato sociale del problema”: “Il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. E’ una classe degenerata, fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale”. Questo è esattamente il rapporto conflittuale di amore e disprezzo che ha legato Levi al suo territorio alianese durante il periodo del confino.
I contadini, analfabeti e a lungo esclusi dal diritto di voto, sono dunque socialmente e culturalmente del tutto estranei tanto ai nobili quanto ai borghesi. Ma il silenzio delle montagne, la solitudine e la miseria dei paesi arroccati sui monti, le infinite distese di argilla, i fiumi lenti e sornioni della valle dell’Agri e del Sauro ed ancora le leggende dei briganti, delle fate, dei lupi mannari e delle streghe sono stati tutti elementi di ispirazione dell’Autore che li ha vissuti personalmente e profondamente: curando i malati di malaria, dipingendo i ritratti dei bambini lucani, annotando le sue impressioni sul taccuino. Nelle parole e nei racconti del “Cristo” si delinea un Carlo Levi curioso, affascinato e sensibile a tutto ciò da cui è circondato.
Egli approfondisce l’analisi dei luoghi e dei personaggi con una tale forza letteraria da trovarsi egli stesso proiettato verso quei tempi arcaici e sconosciuti che affondavano le loro origini territoriali nella mitica Magna Grecia. Il rapporto che lo ha legato alla terra lucana emerge dai suoi dialoghi con Giulia la Santarcangiolese la quale entrando nella sua casa di Aliano, contribuì a svelargli i segreti della storia, dei luoghi, dei misteri di quella terra.
“Una sola fa veramente per lei: è pulita, è onesta, sa far da mangiare, e poi, la casa dove lei va ad abitare è un po’ come fosse la sua….Mi decisi dunque a cercarla…e fece il suo ingresso nella mia nuova casa. Giulia era una donna alta e formosa, con un vitino sottile come quello di un’anfora, tra il petto e i fianchi robusti. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria, ma restavano i segni dell’antica venustà nella sua struttura severa, come nei muri di un tempio classico, che ha perso i marmi che l’adornavano…”
E dalle azioni quotidiane di Giulia descritte minuziosamente nel libro, è possibile oggi ricostruire il mosaico dei luoghi intatti che avevano ispirato l’Autore nel suo esilio. Egli aveva la facoltà di passeggiare solo nel tratto del paese compreso tra la sua casa ed il cimitero, conservati ambedue intatti e ricchi di quello stesso sapore che traspare dalla lettura dei suoi brani . In questo breve tratto urbano percorso infinite volte, Levi incontra i malati, discute con i notabili, dipinge le valli che lo circondano, avvicina i contadini e la loro antica cultura ricavandone un quadro così esteso ed universale tra il suo mondo interiore ed il mondo di quella gente primitiva da diventare un saggio a diffusione universale definito da Rocco Scotellaro come “Il più appassionante e crudele memoriale dei nostri tempi”.
…Agli sguardi il resto del paese…dietro i loro tetti giallastri spuntava la costa di un monte…e di là prima del cielo, si sentiva il vuoto della valle. Sulla mia sinistra, a mezzogiorno…la distesa sconfinata delle argille, con le macchie chiare dei paesi, fino ai confini del mare invisibile. Alla mia destra, a mezzanotte, scendeva la frana sul burrone rinchiuso fra i monti, che mostravano la loro faccia spelacchiata e brulla…Dinanzi a me, verso occidente, grigie del fico dell’orto e i tetti delle ultime catapecchie digradanti in pendio, sorgeva il Timbone della Madonna degli Angeli…come un osso di morto, la testa di un femore gigantesco, che portasse ancora attaccati dei brandelli secchi di carne e di pelle…Dietro questo ossame desolato era nascosto… Gaglianello… e dietro, più azzurre, si levavano altre colline ed altre ancora… con dei paesi vaghi nella distanza, e più in là ancora i borghi degli albanesi, sulle pendici del Pollino, e dei monti di Calabria che chiudevano l’orizzonte. …Ed ogni intorno altra argilla bianca senz’alberi e senz’erba, scavata dalle acque in buche, in coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare…e da ogni parte non c’erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come librate nell’aria. …Invisibili presenze bestiali si manifestavano nell’aria, finché, di dietro a una casa, compariva, con un balzo delle sue gambe arcuate, la regina dei luoghi, una capra, e mi fissava con i suoi incomprensibili occhi gialli…“
Carlo Levi:“La casa era modesta, costruita in modo economico, e non bella, perché non aveva carattere, non era né signorile né contadina…l’alloggio era quasi vuoto… E soprattutto era una casa, un luogo dove avrei potuto esser solo e lavorare…Mi affrettai dunque a salutare la vedova, e a cominciare la mia nuova vita nella mia residenza definitiva…. Contento della nuova solitudine, stavo sdraiato sulla mia terrazza, e guardavo l’ombra delle nuvole muoversi sulle creste lontane, come una nave sul mare…Uscivo spesso nelle belle giornate, a dipingere: ma lavoravo soprattutto in casa, nello studio o sulla terrazza… Sulla mia terrazza il cielo era immenso, pieno di nubi mutevoli: mi pareva di essere sul tetto del mondo, o sulla tolda di una nave, ancorata su un mare pietrificato…“
”I sonnambuli diventano lupi… ce n’era qualcuno a Gagliano, e uscivano nelle notti d’inverno, per trovarsi con i loro fratelli… e si radunano tutti insieme con i lupi veri, attorno alla fontana. “…La vecchia era una strega, e le avveniva spesso di conversare con le anime dei morti, di incontrare monachicchi, e di intrattenersi con dei veri diavoli, nel cimitero… era una contadina magra, pulita e di buon umore…” “…Una notte… il vecchio tornava da Gaglianello… e aveva sentito in tutto il corpo una strana stanchezza, e aveva dovuto sedersi in terra, sul gradino di una cappelletta. Gli era stato poi impossibile alzarsi e proseguire. Qualcuno lo impediva. La notte era nera… ma dal burrone una voce bestiale lo chiamava per nome. Era un diavolo, installato là tra i morti, che gli vietava il passaggio…”.